Metti tre classi appassionate di meccanica, Marco professore di religione attento agli interessi dei ragazzi , tre colleghi che non gli hanno saputo dire di no e si parte per Bologna in una grigia mattina d'inverno.
Il viaggio è sonnacchioso ma pieno d’attesa.
Sbarcati a Bologna, un giovane universitario di nome Niccolò, appassionato di storia, ci introduce alla lettura della realtà nella piazza davanti a San Petronio, un'enorme chiesa che appare come tagliata, fermata perché rischiava di diventare piú grande di San Pietro e non poteva essere cosí...
Niccolò, che fa studi giuridici, è bravo con quel megafono davanti a cercarci gli occhi in questa giornata della memoria. Entriamo anche in San Petronio e vediamo la 'cappella dei Re Magi' con quell'inferno dantesco che ci richiama la ’Biblia pauperum' di Torcello e Padova.
È già tempo di andare alla Ducati: i capannoni ci appaiono maestosi con lo scudo rosso sotto il quale ci facciamo fotografare per entrare nel mito. Siamo accolti da tre giovani fisici che ci introducono allo stile Ducati: apprendiamo che c'è un segreto aziendale che va rispettato al punto che vengono velati gli obiettivi dei nostri
cellulari con dei bollini (potremmo essere spie della Honda!). Giriamo per una fabbrica splendidamente organizzata, pulita fino alla maniacalità, senza magazzino, tutti i pezzi prodotti sono già piazzati in un mercato sempre piú vasto. Vediamo i processi di costruzione e assemblaggio dei pezzi, dal piú piccolo al piú grande, fino a moto finita, un gioiello che deve essere testato e ascoltato nel suo rombo da orecchio umano. Perchè ció che meraviglia, in un contesto di avanzatissima meccanizzazione, è proprio l'insostituibilità dell'uomo, della sua mano, del suo orecchio, del suo cuore. La moto compare alla fine come un oggetto unico, inconfondibile, un oggetto che porta impresso un codice umano , un cuore pulsante all'unisono con quello del suo autore. Che gusto vedere il collaudatore, sentire i giri e apprezzare dal rombo del motore la corretta collocazione dei singoli pezzi. Perchè può capitare anche che qualcosa non vibri al modo giusto e allora la moto, pur già finita, torna indietro e viene disassemblata.
Sono le due e non abbiamo ancora pranzato. Alla mensa aziendale impariamo a stare con gli operai o quanto meno a mangiare con loro...
Dopo pranzo, Alessandro, laureato in fisica e responsabile del laboratorio, ci racconta come ha trovato lavoro. Incalzato da Marco, ci dice che occorre spalancarsi agli altri nella ricerca del lavoro, essere curiosi, aperti alla realtà.
Ci rechiamo al laboratorio di 'fisica in moto' : qui la fisica, così ostica a scuola, diventa finalmente accessibile. La scintilla scocca e fa partire quel motore che è il nostro cuore, pezzo unico come una Ducati, fatto da Uno che di cuori se ne intende. Il motore della vita si accende ad ogni angolo di strada, se sappiamo guardare. Per questo la Ducati è solo un bel pretesto per dire come si possono fare bene le cose. E le cose fatte bene rendono grande la storia degli uomini.
Al museo tra le moto vincenti, i bolidi piú sofisticati, mi commuove una piccola moto con cui tutto cominciava. Si chiamava 'Cucciolo' ed era poco più di una bicicletta con un serbatoio ed un motore. Correva l'anno '45, i nostri padri uscivano dalla guerra e cominciavano la ricostruzione, magari partendo da un motore. Quale sarà il nostro motore, quale combustibile spingerà la nostra vita fuori dalle secche della crisi? I nostri padri riuscirono a farlo e non erano tempi migliori dei nostri. Forse era diverso il loro cuore, forse era giusto il rombo del loro motore...
Forza Ducati, forza ragazzi, la sfida della crisi si può ancora vincere!
Piergiorgio Bighin
Marco Doria
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